"Riformiamo"


Si parla tanto in questi giorni di riforme di settori importanti e delicati quali il lavoro, il welfare, la sanità, la giustizia, addirittura della costituzione e quasi mai chi parla da indicazioni su come queste riforme andrebbero fatte.
E’ certo che i settori indicati sono tutti da riformare ma senza perdere di vista il bene comune, ci può anche stare un periodo lacrime e sangue per risanare il pubblico ma non è accettabile che il pubblico ceda completamente il passo al privato, pena una ovvia ricattabilità del pubblico da parte del privato…
In realtà, piaccia o no il mix di pubblico e privato, modello tutto italiano, degli anni sessanta portò un’importante crescita per il paese ed il grosso del debito pubblico è da ascrivere alla dissenatezza degli anni ’80 più che all’eccesso di pubblico nel mondo del lavoro degli anni precedenti.
Siamo onesti, in un mondo ideale (o anche solo mediamente pulito) non dovrebbe essere necessario sottrarre ai politici ciò che può farli cadere in tentazione di corruzione o di clientelarismo. Servizi e strutture gestiti dalla stato in concorrenza con il privato permetterebbeto di gestire il mercato e calmierare prezzi e tariffe evitando la possibilità della nascita di cartelli tra i soggetti privati. sarebbe molto più utile pensare ed applicare strumenti di legge adeguati a scoraggiare l’interesse privato nel pubblico.
Anche le regole sul lavoro sono da rivedere e, forse, da riscrivere o abrogare i contratti nazionali ma certamente non abolendo i diritti, legittimi, acquisiti per i lavoratori;
come disse Fini a Bastia umbra è davvero il caso di scrivere un nuovo patto tra capitale e lavoro magari partendo dall’assunto che l’uno non ha vita senza l’altro perchè il figlio legittimo dei due è il consumismo, cioè il mercato ed il mercato funziona solo se gira denaro per tenerlo vivo, cosa che non può succedere se il lavoro è sottopagato, squalificato e, sopratutto, poco.
Che il lavoro costi troppo in Italia alle aziende è un fatto innegabile ma la causa non è certo da ricercare nei salari percepiti dai lavoratori, troppo spesso insufficenti per le cose di cui sopra bensì nella la tassazione esosa per cui un lavoratore costa all’azienda circa il doppio di quanto percepisce.
E qui entriamo in un vicolo cieco in cui, se non si abbassano le tasse, i salari non possono crescere ed al tempo stesso calano i posti di lavoro.
Il problema non può essere risolto se non con una chiave globale, con una seria riforma del wellfare che tenga presenti le reali necessità del paese, le sue casse ma anche dei cittadini.
Ad esempio, pare evidente che il sistema pensionistico così come è concepito non può andare avanti, questo dovrebbe portare, prima o poi, all’inevitabile conclusione che le prossime generazioni lavoreranno (da precari) e verseranno contributi per pagare le pensioni ad anziani sempre più longevi con la speranza solo di poter percepire pensioni inadeguate quando toccherà a loro; ne deriva che la pensione non può più essere legata allo stipendio bensì dovrà garantire una minima base (adeguata) a tutti i cittadini che entreranno in pensione, uguale per tutti, senza privilegi, questo abbasserebbe radicalmente la spesa pensionistica e permetterebbe di abbassare notevolemente il prelievo contributivo sui salari, dando modo al lavoratore previdente di avviare piani di accumulo e/o pensioni integrative e comunque di avere una maggiore disponibilità economica che gli consentirebbe una qualità di vita migliore e una maggior liquidità da immettere sul mercato.
Credo sia anche ovvio che parlare di flessibilità quando l’alternativa al lavoro a tempo indeterminato è la precarietà faccia un po’ ridere, infatti si critica che all’estero il lavoro flessibile è pagato meglio che in Italia ma non si tiene conto che da noi la flessibilità è stata introdotta attraverso tipologie contrattuali vantaggiose unicamente per le aziende, infatti perchè io azienda dovrei assumere gente a tempo indeterminato quando queste forme contrattuali mi permettono di fare assunzioni a tempo determinato usufruendo di grandi facilitazioni economiche e fiscali risparmiando moltissimo a parità di incarico?
Chiaro che se il lavoro a tempo inderminato costa tantissimo io in quel modo non assumo e visto che l’altra forma mi consente di spendere molto di meno e che non esiste alcuna tutela del lavoro flessibile offro molto di meno al lavoratore, tanto il lavoro scarseggia ed è costretto ad accettare, se non lui un altro.
La prima cosa da fare, quindi, dovrebbe essere parificare il costo del lavoro, cioè in termini di tasse tutte le forme contrattuali devono avere lo stesso costo, anzi, semmai il flessibile, proprio per la sua incertezza, deve prevedere un costo maggiore, per esempio aggiungendo una quota di prelievo che permetta di creare un fondo per assicurare una remunerazione minima per, diciamo, i primi tre mesi dalla fine del contratto se non se ne trova subito un altro.
Il fisco dovrebbe prevedere una fascia di esenzione ed un’alquota unica di base uguale per tutti, spostando poi la tassazione diretta su quella indiretta, inserendo un prelievo direttamente sul costo del prodotto, come per i carburanti, con un’aliquota sempre più alta man mano che si entra nei beni di lusso. In questo modo la tassazione sarebbe a carico di chi consuma di più e di chiacquista prodotti costosi come automobili, seconde o terze case, gioielli e via dicendo…
Chiaro che ad una politica fiscale di questo genere dovrà essere associat0 il quoziente familiare per l’accesso ai servizi pubblici e aiuti specifici per le famiglie numerose ma, ancora una volta, in questo modo si premierà il risparmio e si penalizzerà chi spende tanto ed ha tanto.
Ecco, le riforme da fare sono tutte intrinsecamente legate tra loro, non possono probabilmente essere inserite gradualmente ma tutto il sistema deve essere riformato e, quando fosse tutto pronto, sovrapporlo al vecchio sistema. Questo è necessariamente un piano a venti o trent’anni, i cui primi frutti per le casse pubbliche si vedrebbero nel giro di qualche anno a causa della necessità di salvaguardare quanto ad oggi maturato da tutti.
Anche per portare avanti un progetto simile ci vorrebbe coraggio per via di scelte impopolari che difficilmente la politica sa prendere, scelt che, però, prima o poi sarà necessario fare, così come sarà necessario arrivare ad una sanità pubblica che fornisca una serie di servizi di base finanzianodoli attraverso un prelievo diretto minimo sui salari ed altri servizi in concorrenza con il privato, sarebbe anche opportuno tornare alle mutue private o avviarsi su un sistema misto che affidi parte dei servizi alle assicurazioni sul modello anglosassone.
Ed infine vorrei rivedere la strategia economica del paese, infatti mi domando spesso se siamo davvero un paese industriale, possiamo esserlo?
E a che prezzo?
O siamo un paese a prevalenza agricola?
Vista la conformazione del paese e la penuria di materie prime forse sarebbr il caso di ripensare un po’ questa strategia, infatti, a parte che lo svilupo industriale appare abbastanza incompatibile con la qualità di coltivazioni ed allevamento, c’è da tenere presenti le enormi potenzialità turistiche, culturali e vacanziere, sfruttate oggi solo in minima parte nel nostro paese…
Musei, siti archeologici, isole, montagne, migliaia di chilometri di coste ed un clima che consente il turismo di ogni tipo quasi tutto l’anno, una valorizzazione massimizzata di queste risorse porterebbe tantissimi posti di lavoro ed enormi introiti da questo mercato.
Al contrario abbiamo grossissimi problemi ad essere competitivi in certi settori industriali fondamentali. Valorizziamo ed aiutiamo il made in Italy, la nostra manifattura, il settore enologico, tutti quei settori o branche di mercato in cui il nostro export quasi non conosce flessioni ed abbandoniamo altri settori in cui siamo assolutamente marginali.
In conclusione, posto che le mie sono ipotesi da profano, scritte con il linguaggio dell’uomo della strada, ritengo che sia da riprogettare tutto il sistema Italia, con il coraggio necessario a fare scelte inzialmente impopolari ma necessarie che a lungo termine porterebbero ad una ridistribuzione di parte della ricchezza del paese, ora troppo accentrata su una parte minoritaria della popolazione, all’aumento dell’offerta di lavoro e aiutando al contempo le aziende, quelle aziende che decidano di operare secondo una nuova visione strategica del paese.
Se siamo costretti a buttare il latte o gli agrumi perchè l’europa ci impone quote troppo basse è inutile dare aiuti o incentivi ad allevatori ed agricoltori su questi prodotti, si cerchi di indirizzare invece le imprese verso prodotti maggiormente richiesti dal mercato.
di Massimo Zito

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