La galera puà attendere - di Francesco Storace

Finisce un incubo. Cinque anni di galera per la polemica sui senatori a vita con il capo dello Stato, nonostante la riappacificazione. C’è ancora giustizia: pochi minuti fa, l’avvocato Romolo Reboa, mio difensore assieme a Bruno e Ippolita Naso, mi ha dato la notizia che il tribunale di Roma mi ha prosciolto dal reato legato al vilipendio.Mastella, ministro di “giustizia” che diede in quarantott’ore l’autorizzazione a perseguirmi, aveva torto marcio.Eppure le premesse non erano delle migliori.Questa mattina l’udienza era convocata per spedirmi davanti alla Corte Costituzionale proprio per il caso Napolitano, perché si pretendeva di perdere altro tempo per una vicenda che in qualunque paese del mondo sarebbe stata chiusa con una stretta di mano.
Nel 2007 polemizzai con il capo dello Stato. Erano i tempi del governo Prodi, c’era il continuo soccorso dei senatori a vita in favore di un governo odiato dal popolo.Presentai un disegno di legge a palazzo Madama per una riforma costituzionale che cancellasse un istituto che giudicavo ormai snaturato rispetto alla sua funzione. Saggi della Repubblica venivano trasformati oggettivamente in strumenti di parte.Con un’abile manovra mediatica, il quotidiano “la Repubblica” scrisse che ce l’avevo con Rita Levi Montalcini; il che non era vero, tanto più che la bubbola delle stampelle circolò in ambienti giovanili e non fu certo una mia invenzione. Ce l’avevo con la figura dei senatori a vita, non con le persone.Eppure, la polemica montò, fino a che si arrivò, successivamente alla presentazione del ddl per abolire i senatori a vita, alla polemica aperta col presidente Napolitano.La Procura di Roma, manco a dirlo, aprì immediatamente un fascicolo contro di me, iscrivendomi a quel particolare guinness dei primati per cui dovevo risultare l’unico cittadino italiano ad essere processato per il vilipendio al capo dello Stato. Mastella diede appunto in 48 ore l’autorizzazione a procedere e già la fretta fu significativa. Il governo mandava a processo un esponente dell’opposizione senza stare troppo a pensarci su.E proprio su questo i miei legali – in particolare l’avv. Reboa - hanno trovato il punto debole di un’accusa che è venuta giù in tribunale questa mattina.
Eppure già il Senato, quando non ero più membro dell’assemblea di palazzo Madama, aveva sancito l’insindacabilità delle mie opinioni. Dure, ma opinioni. E stabilì che non dovevo essere processato.Non ne approfittai. E anzi, scrissi a Napolitano una lettera. Anche se il processo non doveva più farsi, volevo comunque scusarmi col presidente.Convinto delle mie opinioni, avevo comunque ecceduto nei toni.Il presidente apprezzò il gesto, mi invitò al Colle, e proprio una stretta di mano sancì la riconciliazione. Ne fui contento, perché comunque le opinioni vanno mantenute, ma non significa autorizzazione a uscire dal seminato.Addirittura, recentemente, proprio Napolitano ha proposto l’abrogazione del reato per cui si procedeva nei miei confronti.Ma una magistratura che a volte sembra vivere sulla luna pretendeva di andare avanti. Accanimento terapeutico, questa la strada scelta. Il pubblico ministero chiedeva di attivare il conflitto di attribuzione – cioè la magistratura non può vedersi scippare un processo per un reato di opinione dal Senato – e la Corte Costituzionale deve decidere chi ha ragione.Stamane, il giudice chiamato a sentenziare ha invece agito secondo giustizia.Risultato: finisce una persecuzione. La galera può attendere.
P.s.: Ultima, ma non meno rilevante considerazione. Come mi ha fatto notare lo stesso Reboa, la sentenza di stamane ha stabilito che Mastella violò la legge da ministro della Giustizia per mandare sotto processo chi stava all’opposizione. Questo influì anche sul mio percorso politico.

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